L'influenza psicopatologica dell'educazione religiosa


1.

Nell'ambito di un progetto di prevenzione del disagio psichico, il problema dell'influenza religiosa nelle prime fasi dello sviluppo è di fondamentale importanza. Se è vero, infatti, che il disagio psichico giovanile riconosce le sue matrici in turbolenze della vita emozionale e affettiva determinate dall'interazione con l'ambiente, è pur vero che quelle turbolenze danno luogo allo strutturarsi di conflitti allorchè si imbattono in valori culturali interiorizzati che danno ad esse un significato radicalmente negativo. Tra questi valori, quelli di pertinenza religiosa hanno un ruolo preminente.

Un discorso esauriente a riguardo richiederebbe un intero saggio per la complessità delle tematiche che esso investe. Qui mi limiterò a dire l'essenziale.

Come risulta chiaro da tutti i saggi, il problema dei sensi di colpa, identificato come fondamentale da Freud nella genesi e nell'evoluzione delle esperienze psicopatologiche, sulla scorta di vaghe intuizioni precedenti che, da Pinel a Johann Christian Heinroth, avevano indotto a definire la malattia mentale come una malattia morale, rimane ancora oggi assolutamente rilevante.

Molti analisti ortodossi minimizzano le influenze culturali perché, fermi alla teoria freudiana delle pulsioni (sessualità e aggressività), ritengono che esista un senso di colpa primario, che rappresenterebbe l'espressione di una percezione angosciosa delle pulsioni stesse. Da questo punto di vista, dato il suo corredo pulsionale, l'uomo albergherebbe "naturalmente" sensi di colpa in misura direttamente proporzionale all'intensità di tale corredo. L'ambiente culturale inciderebbe solo nell'esasperare o nello sdrammatizzare i sensi di colpa stessi.

Alcuni analisti e psicoterapeuti aggirano il problema sostenendo che la psicopatologia contemporanea, particolarmente a livello giovanile, è radicalmente cambiata rispetto all'epoca di Freud in conseguenza del carattere meno repressivo della civiltà attuale. I sensi di colpa, tranne rare eccezioni, sarebbero nettamente diminuiti, perché l'evoluzione della personalità giovanile non comporterebbe più lo strutturarsi di un super-io rigido. La psicopatologia contemporanea, anzi, porrebbe di fronte al problema di uno scarso controllo delle pulsioni etero- e autodistruttive, ovvero di una sorta di amoralità che, allentatisi i richiami interni ai doveri sociali, determina il più spesso una strutturazione narcisistica della personalità o, semplicemente, uno svuotamento nihilistico del senso della vita.

Io ritengo che entrambi questi orientamenti siano sbagliati. Insistere nel considerare scientifica la teoria delle pulsioni freudiana, che implica una negazione della sociabilità umana, è un non senso. E' un non senso, però, anche considerare il Super-io, che genera i sensi di colpa, come un aspetto della psicologia umana tramontato in conseguenza della liberalizzazione della cultura e dei costumi.

Il Super-io, come ho cercato di argomentare in tutti i saggi, è una funzione strutturale dell'apparato mentale umano, il cui significato ultimo è di affermare, sulla base di un bisogno di appartenenza/integrazione geneticamente determinato, il primato del sociale a livello inconscio, favorendo l'interiorizzazione dei valori culturali e mantenendoli in vigore. Esso rappresenta l'espressione di uno "stratagemma" evolutivo atto a permettere alla cultura (a qualunque cultura) di replicarsi a livello inconscio, quali che siano i suoi valori. Da questo punto di vista, il Super-io freudiano sostanzialmente repressivo ha una dimensione storica che può ritenersi, almeno in parte, tramontata. La replicazione dei valori culturali in sé e per sé è però un fatto universale, in assenza del quale non sarebbe possibile spiegare la definizione di un'identità personale, le cui matrici sono inconsce. Il Super-io attuale non è più quello dell'epoca di Freud e, rispetto ad allora, in conseguenza della crescita di una cultura incentrata sull'individuo, esso risulta in genere rimosso. Pensare che sia estinto in nome di una prevalente psicologia dell'io è una banalità, o meglio, la conseguenza di una sorprendente enfatizzazione del ruolo della coscienza e dei processi coscienti.

2.

Tra quelli presenti e attivi nella nostra civiltà, i valori religiosi sono quelli di più lunga durata. Essi vengono interiorizzati da pressoché tutti i soggetti in fase evolutiva: ad alcuni sono instillati dai genitori stessi, o almeno da uno di loro, nella misura in cui sono credenti; ad altri sono trasmessi dall'insegnamento religioso nelle scuole e dal catechismo in preparazione della prima comunione (rito che concerne ancora più del 90% della popolazione infantile).

E' importante tenere conto che la trasmissione dei valori religiosi non esercita gli stessi effetti su tutti i bambini. Si tratta infatti di valori associati a rappresentazioni con una carica emozionale e simbolica piuttosto forte: Dio Creatore e Padre, il Diavolo, Gesù crocifisso per i peccati umani, la Colpa, il Paradiso, l'Inferno, ecc. Tali rappresentazioni vengono interiorizzate in misura direttamente proporzionale al tasso di sensibilità emozionale del bambino e alla sua capacità di dare significato ad una potente e suggestiva simbologia, che fa vibrare corde intrinseche all'anima umana.

La potenza simbolica delle rappresentazioni religiose è tale che esse, oltre eventualmente ad essere apprese a livello cosciente, impregnano profondamente l'inconscio, laddove tendono a residuare, strutturando il Super-io, anche a distanza di molti anni dall'eventuale perdita della fede. Questa è la matrice di sensi di colpa che sono tanto più insidiosi quanto più il soggetto, assecondando valori laici, non ha alcuna consapevolezza dei processi di colpevolizzazione che avvengono a livello inconscio.

Basta fare riferimento a questo aspetto per capire che il luogo comune secondo il quale l'insegnamento religioso non fa male è infondato, e esprime un'incapacità, propria di molti adulti, di apprezzare la forza insidiosa dei simboli religiosi.

Un ulteriore problema è legato al linguaggio con cui avviene la trasmissione dei valori religiosi ai bambini. I grandi fondatori di religioni - Mosé, Gesù, Maometto - non rivolgevano il loro messaggio agli adulti, e dunque utilizzavano un linguaggio ad essi comprensibile in quanto riferito alla loro esperienza adulta. Non ci vuole molto a capire questo aspetto. Basta fare riferimento ai dieci comandamenti che sono, ancora oggi, per la loro essenziale sinteticità, il fondamento del catechismo. Leggendoli, riesce immediatamente chiaro che si tratta, ad eccezione del quarto, di leggi per adulti: non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non desiderare la roba d'altri, non desiderare la donna d'altri.

L'usanza invalsa di indottrinare precocemente i bambini ha costretto il catechismo ad adattare quelle leggi alla psicologia infantile. In conseguenza di questo, il non uccidere viene generalizzato nei termini di un richiamo a non fare male all'altro, il non commettere adulterio (che il bambino non sa cosa sia) si trasforma nel non commettere atti impuri, il non testimoniare il falso nel non dire bugie.

Sembrano cambiamenti di poco conto, ma sono invece potenzialmente pericolosi. Se un bambino li prende alla lettera e ne serba memoria, la sua vita interiore diventa una continua lotta contro il peccato via via che gli capita di nutrire emozioni negative nei confronti di qualcuno, di nutrire curiosità sessuali, di omettere qualche verità o di mentire per necessità o per paura.

Non sarebbe neppure questo un male assoluto, se l'educazione religiosa si astenesse dall'impartire l'insegnamento che si può ritenere il più antipedagogico in assoluto: quello secondo il quale pensare o fantasticare qualcosa di male equivale all'averlo fatto (il famigerato peccato di pensiero). L'origine di questo assurdo concetto viene ricondotta al Vangelo e in particolare ai versetti in cui Gesù dice: ""Ascoltate e intendete! ]Non quello che entra nella bocca rende impuro l'uomo, ma quello che esce dalla bocca rende impuro l'uomo!". Allora i discepoli gli si accostarono per dirgli: "Sai che i farisei si sono scandalizzati nel sentire queste parole?". Ed egli rispose: "Ogni pianta che non è stata piantata dal mio Padre celeste sarà sradicata. Lasciateli! Sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso!". Pietro allora gli disse: "Spiegaci questa parabola". Ed egli rispose: "Anche voi siete ancora senza intelletto? Non capite che tutto ciò che entra nella bocca, passa nel ventre e va a finire nella fogna? Invece ciò che esce dalla bocca proviene dal cuore. Questo rende immondo l'uomo. Dal cuore, infatti, provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adultèri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie." Secondo l'interpretazione ecclesiale, la radice del male è dunque nel cuore, ovvero nella mente dell'uomo. La salvezza dunque passa attraverso la purificazione interiore, vale a dire l'inibizione dei desideri, delle fantasie e dei pensieri che possono indurre al peccato.

Io penso che quest'interpretazione sia sbagliata. Gesù intendeva probabilmente fare riferimento alla realizzazione di quei desideri, fantasie e pensieri, non ad essi in sé e per sé. Nella misura in cui la teologia del peccato di pensiero si è affermata, l'esigenza della purificazione si è estesa a tutto il mondo interiore. In conseguenza di questo, la grazia richiede una sorta d'innaturale innocenza.

Se un bambino prende alla lettera questo insegnamento e lo serba in memoria, difficilmente la sua vita interiore, e in misura sempre maggiore via via che cresce, potrà asfuggire ad un processo di colpevolizzazione radicale.

Che cosa c'è di radicalmente sbagliato nel catechismo dal punto di vista pedagogico? In parte - come ho detto - il non tenere conto che i precetti religiosi sono rivolti agli adulti, e che la loro traduzione in termini di psicologia infantile dà ad essi un significato più generale, equivocabile e dunque pericoloso; in parte, l'assumere quei precetti come verità rivelate e quindi valide universalmente, al di fuori del tempo. So bene che non si può chiedere ai credenti e alla Chiesa di pensarla diversamente, di storicizzare e di contestualizzare il messaggio religioso. Ma ciò comporta l'inconveniente di dare a tale messaggio un significato astratto.

Un esempio vale a chiarire meglio questo assunto.

Il catechismo propone ai bambini la perfezione morale come ideale a cui tendere e dalla cui realizzazione dipende la salvezza eterna. Ora è vero che nel Vangelo si legge: "Siate perfetti com'è perfetto il vostro Padre celeste". Ma la predicazione di Gesù, come risulta chiaro da una lettura attenta dei testi evangelici, era rivolta ad un manipolo di eletti. Proporre a questi un ideale di perfezione assoluta risulta comprensibile se si tiene conto che Egli intendeva fondare una comunità destinata alla salvezza nell'attesa della fine del mondo imminente. Proporre questo stesso ideale a bambini di sei-sette anni è semplicemente assurdo. Laddove infatti esso viene interiorizzato (cosa che accade regolarmente a bambini particolarmente sensibili), determina un perfezionismo morale inesorabilmente destinato a indurre una tensione perpetua e angosciosa, impregnata da vissuti d'inadeguatezza, indegnità, ecc.

Si dirà che non è colpa della Chiesa se alcuni bambini prendono gli insegnamenti alla lettera, e rimangono influenzati più dagli aspetti drammatici di tali insegnamenti (il peccato mortale, il Diavolo, l'Inferno, ecc.) che non da quelli confortanti (l'amore di Dio Padre, la Sua benevolenza, il perdono). Ma non è colpa neppure di alcuni bambini se la natura li mette al mondo con una straordinaria sensibilità nei confronti dei simboli ricchi di valenze emozionali e con la tendenza ad accordare ai grandi una fiducia illimitata e a credere in ciò che essi dicono.

3.

L'interiorizzazione dei valori religiosi, trasmessi secondo la versione tradizionale del catechismo, determina la strutturazione di un Super-io inesorabilmente colpevolizzante. Per stare in pace col Super-io, un bambino, via via che cresce, dovrebbe mantenersi nel suo intimo puro, innocente e non nutrire alcuna emozione negativa nei confronti degli altri. Si danno a riguardo varie possibilità: la prima, che l'universo dei pensieri, deel fantasie e delle emozioni contrastanti con i valori religiosi venga sistematicamente rimosso. Ciò da luogo alla strutturazione di un falso io, la cui apparenza è di un essere buono, accondiscendente, ubbidiente, rispettoso, ecc., che alberga però, nelle pieghe dell'inconscio, un'identità antitetica di cattiveria, egoismo, immoralità, distruttività, ecc. Questa situazione può mantenersi in equilibrio anche per diversi anni, ma, prima o poi, è destinata a smottare. Lo smottamento può avvenire in vari modi: sotto forma di depressione, attacchi di panico, disturbo d'ansia ossessivo-fobico (solitamente associato a rituali), fobia sociale, delirio di riferimento o persecutorio.

In altri casi, la rimozione funziona solo parzialmente. Ciò significa che il soggetto convive con l'intuizione di essere tutt'altro da come appare, ha un'esperienza interiore caratterizzata dall'affiorare di fantasie, pensieri e emozioni "strane", vive nella paura di essere smascherato in quella che è la sua vera identità. Su questa base, si realizzano spesso esperienze psicopatologiche che rientrano nell'ambito della nevrosi ossessivo-fobica. Più raramente si realizzano deliri mistici o persecutori a carattere religioso.

Una terza possibilità, dovuta all'entrata in azione dell'io antitetico, è legata al subentrare, più o meno repentino, di un comportamento trasgressivo, asociale, antisociale. Si tratta in breve di bravi ragazzi che, da una settimana all'altra, cambiano completamente stile di vita, finendo quasi sempre sul terreno di una devianza più o meno significativa socialmente. Queste situazioni sono particolarmente pericolose perché la necessità di arginare i sensi di colpa spinge il soggetto, spesso sull'onda di uno stato di subeccitamento o di eccitamento, ad alzare progressivamente il tiro dei suoi comportamenti, fino al crollo che può avvenire per un attacco di panico o un delirio persecutorio.

C'è una quarta possibilità, che è in assoluto la più drammatica. Alcuni bravi ragazzi, tormentati dall'idea di non poter sostenere all'infinito il loro ruolo, spesso oppressi da fantasie e emozioni negative di ogni genere, gravati da immani sensi di colpa, "decidono" d'emblée di attentare alla loro vita. Alcuni suicidi che avvengono a ciel sereno sono da ricondurre all'intento di mantenere un'immagine sociale immacolata, prevenendo la temuta catastrofe e lo smascheramento. Togliendosi la vita, questi ragazzi uccidono il Diavolo dentro di sé.

4.

Io sono convinto che, se i contenuti dottrinari cui ho fatto riferimento venissero espunti dall'insegnamento religiosa, a livello familiare e scolastico ma soprattutto a livello di catechismo, si otterrebbe una riduzione dei sensi di colpa inconsci. Occorrerebbe verificare poi in quale misura ciò coinciderebbe con una minore incidenza di esperienze psicopatologiche giovanile e/o con una minore intensità della sintomatologia.

Una proposta del genere non è un attentato alla libertà religiosa. Si tratterebbe solo di accordare l'insegnamento religioso con la psicologia infantile, soprattutto di alcuni bambini dotati di una viva sensibilità.

La realtà di cui prendere atto, dunque, è che l'educazione religiosa, per alcuni aspetti, può danneggiare psicologicamente lo sviluppo della personalità. I genitori non credenti che consentono ai loro figli di frequentare l'ora di religione e il catechismo, in nome del fatto che i valori cristiani sono comunque positivi, commettono, senza rendersene conto, l'errore di strumentalizzare pedagogicamente la religione dando ad essa il significato di un'educazione al buon vivere civile. Essi inoltre espongono i figli al rischio di interiorizzare valori che inesorabilmente, per l'influenza stessa dell'ambiente familiare non credente, sono destinati ad essere rimossi con l'adolescenza.

Dicembre 2003